L’evento più atteso di tutto l’anno dalla grande famiglia della Fondazione Il Bene, si avvicina. Verticale Solidale 2018 si svolgerà, come di consueto a Cortina, il 7 e l’8 luglio. Quest’anno, tra i relatori del convegno scientifico, abbiamo il piacere di ospitare la Dott.ssa Danila Valentimedico oncologo palliativista, responsabile della Rete delle Cure Palliative dell’AUSL Bologna, tra gli esperti che hanno dato un contributo alla scrittura del testo base della legge 219.

La legge sulle DAT, Disposizioni Anticipate di Trattamento, non è la legge sul fine vita. È una legge sul rispetto della persona. Non c’entrano eutanasia né suicidio assistito. C’entra la persona. Punto. Perché la legge numero 219 approvata il 22 dicembre scorso è una normativa «sul consenso, nel rispetto del diritto di conoscenza per poter decidere liberamente in merito al proprio percorso di cura». È molto chiara ed esauriente la Dott.ssa Valenti. «Legge che è stata possibile grazie anzitutto all’onorevole Donata Lenzi, relatrice alla Camera. È stata lei, infatti, a scrivere il testo base e a portarlo, con tenacia, all’approvazione», lungo un percorso complesso. Anche il messaggio del Papa del 17 novembre 2017 ha dato un aiuto importantissimo «dopo che il Pontefice con il suo richiamo a “un supplemento di saggezza” ha sottolineato l’importanza di andare oltre le rigidità ideologiche che portavano alla contrapposizione. Il decreto è stato così ri-calendarizzato. Finalmente». Danila Valenti, sentita più volte in audizione in Parlamento, è dal 2009 che segue con attenzione questa legge. Soprattutto per quel che riguarda la Pianificazione Condivisa delle Cure: da oltre 20 anni cura persone con patologie inguaribili.

  • Come si fa a curare una persona con una malattia inguaribile?

Nel mio lavoro ho imparato sul campo che c’è una differenza sostanziale tra disease, ossia la malattia in senso strettamente clinico, e illness che riguarda invece come la persona vive la propria malattia. In quest’ottica la presa in cura della persona con malattia riguarda non solo il trattamento dei disturbi clinici, ma anche un accompagnamento psicologico, sociale, esistenziale che riguarda anche la famiglia. Si tratta dunque di una cura complessiva, rivolta alla persona nella sua globalità, lungo tutto il percorso della malattia. Questo approccio presuppone una relazione profonda tra curante e curato.

  • Di questo dunque si occupa la legge…

… del rispetto della persona e delle sue decisioni in merito al proprio percorso di cura.
La legge distingue subito due situazioni profondamente diverse. La prima si riferisce al caso in cui io, in questo momento sana, dovessi essere coinvolta in un incidente (per esempio stradale) e trovarmi in una situazione in cui non riesco più a esprimere quello che vorrei o non vorrei: in questo caso scrivo le Disposizioni Anticipate di Trattamento che porto poi in Comune. La seconda si riferisce al caso in cui io, malata di una certa malattia, so come può essere l’evoluzione della patologia, perché sono aiutata dal mio medico e da tutta l’équipe curante. Rifletto dunque con loro, con la mia famiglia, con me stessa e quindi esprimo e scrivo come voglio procedere. Di volta in volta nel corso degli step di possibile progressione della malattia posso rivedere quello che ho scritto, discutere sugli ulteriori possibili cambiamenti nella mia vita sulle terapie. Posso inoltre scrivere quello che, in caso non fossi più in grado di esprimermi, vorrei o non vorrei per me. Così da avere voce anche quando potrei non averla più. Questa è la Pianificazione Condivisa delle Cure.
In entrambi i casi posso scrivere il nome di un fiduciario, di una persona cioè, che mi conosce così bene e con cui ho parlato a lungo di me e di quello che vorrei o non vorrei, il quale potrà parlare per me e che la legge ora riconosce come la mia voce e il vettore della mia volontà.

  • E il fine vita?

Non è il tema principale della legge. Il fine vita rimane importante, ma una questione ai margini, in quanto la legge regola il consenso alle cure e dà valore, attraverso le Disposizioni Anticipate di Trattamento e alla pianificazione condivisa delle cure, al consenso o al “dissenso” dato e scritto “prima”, prevedendo ciò che potrebbe capitare, nella vita o nella malattia.

  • Quindi nello specifico la legge cosa prevede?

La legge sancisce il diritto all’onestà comunicativa con la persona da parte del personale sanitario che deve scrivere in cartella clinica se la persona vuole avere tutte le informazioni in merito alla sua prognosi, quali informazioni vuole avere e con quale gradualità. Si tratta di fare in modo che la persona raggiunga, con i propri tempi, la maggior consapevolezza possibile sulla propria situazione per poter decidere il più possibile rispetto a sé e alle terapie. La persona può, poi, rifiutare l’informazione. È per questo che il medico deve delicatamente e rispettosamente, ma chiaramente, informare e domandare lungo tutto il percorso di cura. Se la persona preferisce delegare, questo va scritto chiaramente in cartella clinica. Non è il medico che decide.

  • Gradualità e onestà nel racconto della malattia, nonché rispetto della persona e delle situazioni. Ma il nostro sistema sanitario è pronto?

Sono necessarie competenze specifiche che vanno promosse ad ogni livello formativo. La comunicazione con la persona affetta da malattia inguaribile necessita di skills ad hoc. Sono, infatti, in gioco… 5.000 sfumature di grigio! Ci sono pazienti che vogliono e sanno totalmente autodeterminarsi, altre invece che hanno bisogno di sentirsi in un totale affidamento al medico, senza poi contare che la persona e di conseguenza il suo approccio alla malattia possono cambiare nel corso della stessa. Ed è in questa vastissima gamma di grigi che noi dobbiamo muoverci, rispettando tutte le sfumature che le persone che curiamo presentano di base e nei diversi moneti della malattia.

  • Per quanto riguarda la vexata quaestio dell’obiezione di coscienza, come si pone la legge?

In nessun modo, in quanto l’obiezione di coscienza, proprio per come è impostata la legge, non ha ragion d’essere. Dal momento che la legge regola il diritto della persona di dare il consenso (informato e compreso) a una terapia o di non darlo (dissenso), e quindi di decidere in ogni momento se attivare, continuare o sospendere le terapie, solo e soltanto lui può avere potere decisionale. Il medico non può opporre un suo diritto a imporre una terapia che la persona malata ha detto e scritto di non volere. Anche l’articolo 32 della Costituzione lo vieta.

  • In concreto allora cosa cambia rispetto a prima?

Anche prima non si poteva agire senza il consenso del paziente, però valeva soltanto il consenso “attuale”, cioè quello che la persona può dire direttamente poco prima di fare una terapia che il medico propone. Non valeva dunque ciò che aveva scritto anticipatamente. Adesso invece ha valore anche ciò che la persona ha dichiarato anticipatamente. Prima il medico poteva “agire secondo lo stato di necessità” come avviene “in urgenza”, anche senza il consenso del paziente e non aveva l’obbligo di tenere conto di ciò che la persona aveva scritto di volere o non volere: era lasciato alla sua valutazione se “accettare” o “non accettare” quello che la persona aveva lasciato scritto di volere o non volere. Oggi invece se sei al pronto soccorso a causa di una crisi respiratoria e sei assopito, quindi non sei in grado di dare il tuo consenso attuale, ossia in quel preciso momento, a una tracheotomia d’urgenza, ci sono le DAT che hai rilasciato precedentemente e che dicono cosa fare o non fare. Poi, se una persona vuole, può anche avere scritto nelle DAT, chi può decidere per te nel momento in cui tu non sei più in grado di farlo, che è il fiduciario definito nella legge.

  • Ricapitolando…

Ci vuole un consenso, informato, compreso, libero della persona; è fondamentale la relazione di cura e fiducia tra medico e paziente che si prende in carico la illness, non soltanto la disease; il medico deve avere chiaro che è la persona in cura a dover essere, se vuole e nella misura in cui vuole, il più possibile sia l’attore che il regista principale delle proprie decisioni.

  • In questo modo non ci saranno più casi Englaro?

Esattamente, se si intende persone in stato vegetativo che non avrebbero mai voluto vivere in quella condizione di stato vegetativo. Ci potranno essere però persone in stato vegetativo che avevano lasciato scritto nelle DAT che, se anche si fossero trovate in situazioni di vita come quella di Eluana Englaro, avrebbero voluto essere mantenute in vita comunque, perché per loro quella vita non è incompatibile con il loro concetto di vita accettabile.

  • Casi Welby invece?

Anche in questo caso non ci saranno più contenziosi, in quanto la persona potrà decidere in ogni momento se sospendere la terapia a cui ha precedentemente deciso di sottoporsi. E questo perché ora la legge sancisce il concetto, già peraltro chiaro in bioetica, che sospendere un trattamento equivale a non iniziarlo.

  • Nutrizione, idratazione e ventilazione sono terapie?

Sì, sono terapie, e in quanto tali oggetto di DAT, che la persona può decidere, in quanto terapie, se volere o non volere. In alcuni casi poi, sono salvavita, come nel caso dello Stato vegetativo. Ma in altre malattie, come ad esempio nei casi di persone con tumore in fase avanzata e avanzatissima, terapie come la nutrizione non dovrebbero nemmeno essere proposte in quanto “non appropriate”, cioè non in grado di superare la cachessia neoplastica che, infatti, non si cura con la nutrizione. In questi casi addirittura, la stessa Associazione Europea dei Nutrizionisti, dice che “C’è un generale consenso sul fatto che una incondizionata nutrizione artificiale in tutti i pazienti sottoposti a chemioterapia palliativa è associata più a svantaggi che a benefici, e dovrebbe essere evitata”. In questo caso, cioè, non è oggetto di scelta, perché proprio non è utile ad aumentare il tempo di vita.

  • Lei è anche l’unica italiana ai vertici dell’European Association for Palliative Care, l’associazione europea di cure palliative. Questa legge come si configura rispetto al panorama europeo?

Anzitutto, finalmente abbiamo una legge sul tema! Siamo, infatti, fra gli ultimi Paesi ad aver legiferato in merito. Ogni normativa nazionale ha le sue caratteristiche, tuttavia il principio base è il diritto della persona a potersi esprimere su tutte le terapie che la riguardano.

  • Cosa si augura più di tutto con la promulgazione della legge?

Mi auguro che la persona venga il più possibile valorizzata e di conseguenza possa decidere sulla base dei propri sistemi valoriali e del proprio modo di vivere la malattia. Mi auguro che diventi evidenza culturale il fatto che una società matura debba sostenere le persone più fragili e quindi garantire, nei fatti, anche il diritto alla malattia con il supporto pratico, economico, ma anche culturale di tutti: la vita di una persona malata richiama la società a quei valori di solidarietà che rende più ricca culturalmente una società. La vita ha valore in sé, non in quanto vita “produttiva”. E questo, la persona malata, deve profondamente sentirlo, perché tutta la società, culturalmente, deve riconoscerlo come valore. Mi auguro che sia prassi politica il sostegno alla persona malata o disabile e alla sua famiglia. In un Paese eticamente maturo è la società che, attraverso le tasse di tutti, paga per il diritto ad una vita piena, pienamente riconosciuta come vita, anche, e soprattutto, se malata. Un vero Paese civile riconosce che la vita, pur e proprio, nella malattia e nella fragilità, è preziosa.
La malattia, infatti, arricchisce il singolo e l’intera società, poiché richiama ai valori autentici che stanno alla base della società stessa. Quali, prima di tutto, la carità e la solidarietà con le persone fragili: solidarietà pratica nel sostegno sociale economico alla malattia e solidarietà culturale che riconosce la malattia come elemento che non toglie ma aggiunge valore alla vita.
È vivere in una società che ha questa consapevolezza che genera nella persona malata, libertà di scelta.
Presupposti imprescindibili sono quindi che una scelta deve essere il più possibile autonoma (consapevole e informata), per essere vera scelta, e deve essere sollevata da condizionamenti negativi economici e culturali, per essere vera libera scelta.
Fatte, tuttavia, queste premesse fondamentali, che sono alla base della civiltà di un paese, nessuno Stato, nessuno, può imporre un proprio “assoluto” concetto di qualità di vita, ad una persona non riesce a percepirla per sé, come tale.

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